giovedì 21 ottobre 2010

Il normale equivoco sulla normalità

Ovvero, sul come, fin troppo spesso, utilizziamo il termine "normalità" solo ed esclusivamente perché ci fa comodo, senza tenere minimamente conto del suo significato.

A questo punto una premessa: questo post parte, innanzitutto, da una risposta datami da Fiorestropicciato al post in cui ho presentato mia moglie ed in particolare alla frase in cui dice che "lei è assolutamente normale".

Vi siete mai chiesti cosa voglia dire normalità? O che cosa si voglia indicare con la frase "persona normale"?


il nocciolo centrale della questione sta nel fatto che, nel comune sentire, l’espressione “persona normale” ha una valenza qualitativa, pur non avendo un valore di per sé stessa, ma in quanto messa in relazione con quello che viene ritenuto il suo contrario, ovvero il termine “diverso” / “strano”. Infatti, quando diciamo che una persona è “diversa” o “strana”, spesso associamo a questi termini una valenza negativa e spregiativa ed è proprio questo a far sì che il concetto di “normale” diventi sinonimo di “morale”, di “buono” e di “giusto”.

Nel momento in cui si considera il termine normale di per sé stesso, però, si nota che la caratteristica principale non è qualitativa, ma quantitativa, ovvero: dato un gruppo eterogeneo di persone poste in un medesimo spazio e in uno stesso periodo storico la caratteristica o il comportamento che si definisce “normale” è quello riscontrato nella quantità più grande di persone. Portando il discorso sul piano della singola persona, possiamo dire che il comportamento o il pensiero “normale” di ciascuno di noi è quello che, in una medesima situazione ripetuta, si presenta più spesso rispetto agli altri. L’equivoco nasce, però, quando qualcuno di noi pensa che il SUO normale sentire sia considerato tale anche dalle persone che lo circondano e che quindi a loro volta adottino il suo stesso metro di valutazione.

Una conseguenza interessante di ciò è che, quando una persona riconosce in un’altra una caratteristica che ritiene positiva, spesso le viene automatico associarle con il termine “normale” un’affinità a sè stessa che non è assolutamente detto che la persona giudicata abbia, mentre, nel caso la caratteristica sia percepita come negativa, allora l’etichetta “strano” serve a giustificare la distanza che il giudicante vuole prendere, a volte senza nemmeno provare a conoscere chi ha davanti. Qquesto meccanismo, però, è l’essenza di ciò che si chiama pregiudizio.

Parlando di comportamenti che possono diventare normali o no a seconda dell’ambiente che ci circonda, prendiamo un esempio limite: l’atto di uccidere un essere umano. In tutte le società uccidere un'altra persona è qualcosa di assolutamente sbagliato, tanto è che legalmente punito in tutti gli stati della cui legislazione io abbia sentito parlare, eppure ci sono situazioni dove uccidere diventa un qualcosa di assolutamente normale, indipendentemente dal fatto che si possa considerare giusto o meno. Due esempi sono la guerra e le rivalità tra famiglie mafiose. Nel primo caso, infatti, uccidere non solo diventa normale, ma diventa necessario e giusto perché in guerra o si uccide o si è uccisi e non ci sono altre alternative, mentre nel secondo caso uccidere rimane un reato, ma ogni membro di una famiglia mafiosa considera assolutamente normale e doveroso l’uccidere un membro di un’altra famiglia rivale.

A questo punto le domande sono: cosa c’entra la normalità con la moralità, col bene e con la giustizia? Siamo poi così convinti che definire una persona come "normale" sia una cosa così positiva?

detto questo poi faccio notare una cosa: siamo poi così sicuri che, al giorno d'oggi, l'atteggiamento di lottare contro le avversità per conquistare la propria indipendenza sia il modo di vivere della maggioranza delle persone? o non è piuttosto il vivacchiare adagiandosi sul benessere che ci troviamo davanti, anche a costo di non essere indipendenti perché in fondo ci va bene così e non vogliamo stare a sbatterci più di tanto?


lunedì 11 ottobre 2010

Tanti piccoli attimi...

Non c’è un motivo particolare per scrivere queste righe, se non buttare giù le sensazioni di questo ultimo periodo, in cui un susseguirsi di eventi notevoli mi ha lasciato addosso un carico emotivo che solo adesso comincio ad assimilare appieno. Dalla ricerca di un nuovo appartamento, in cui poterci allargare come spazio, che è giunta al secondo atto, dopo un primo tentativo andato storto, alla morte di mia suocera, avvenuta a luglio nel lasso di 72 ore per un aneurisma cerebrale; dall’opportunità di lavoro avuta da mia moglie, in un ambiente poi rivelatosi una portentosa presa in giro da parte di persone assolutamente indegne, al suo volto in cui adesso rivedo molto più spesso la “figlia” a cui manca la mamma e si preoccupa per suo padre, rimasto solo a fronteggiare la vita dopo 51 anni vissuti con la sua compagna; dai suoi pianti perché sentiva che il lutto piombatole addosso la stava portando sull’orlo dell’apatia e della depressione, alla sua lenta reazione che le ha riportato il suo consueto sorriso sulle labbra; dalla situazione nel mio ambiente di lavoro, ai progetti che stiamo facendo assieme per sistemarci casa nuova a nostra misura. Tutto questo ci ha messo di fronte ad un calderone emotivo ed a una serie di tensioni, che comunque siamo riusciti a superare assieme, mantenendo il nostro modo di sorprenderci a vicenda e questo mi ha portato un ulteriore grado di coscienza su quello che siamo stati fino ad ora: una coppia che ha fatto del dialogo continuo, costante, sincero e quotidiano la sua caratteristica principale; un dialogo, poi, che è sempre stato esteso a tutti gli aspetti della nostra vita, sia comune che privata, portato avanti sia per poterci capire e conoscere, sia per poterci confrontare e progettare il nostro futuro, facendo in modo di non prevaricarci l’un l’altro, ma di venirci reciprocamente incontro. Tutto quello che abbiamo fatto finora, è sempre stato frutto di un dialogo e di una collaborazione che, alla fine, ci sempre reso entrambi orgogliosi del risultato finale e che spesso ha visto anche le altre persone che si sono trovate coinvolte in alcuni eventi della nostra vita, restare profondamente colpiti (esemplare che a due anni di distanza chi ha partecipato al nostro matrimonio se lo ricordi ancora come qualcosa di speciale).
Mano a mano che il tempo passa, io e mia moglie andiamo avanti e, giorno dopo giorno, costruiamo la nostra vita sulla base di ciò che vogliamo, incoraggiandoci reciprocamente a vivere le nostre passioni e senza farci influenzare da pressioni esterne.
Siamo una coppia felice ed io sono orgoglioso della persona che ho sposato.

mercoledì 29 settembre 2010

Wheels of Time

Ovvero, piccolo resoconto di una serata con gli ex-compagni delle medie.


Sabato 25 settembre, a 14 anni di distanza dall’ultima volta in cui ci si era ritrovati come gruppo, io e diversi dei miei ex-compagni di 2° e 3° media, ci siamo rivisti per una serata in pizzeria assieme.

Tante le cose dette e le notizie scambiate, anche perché se con alcuni un minimo di contatto, anche solo occasionale, era rimasto, con altri l’ultima volta assieme era stata l’ultimo giorno di esame delle 3° media, ormai 23 anni fa.

Molta vita è passata in mezzo a questo lasso di tempo, quasi doppio rispetto a quanto avevamo vissuto al momento in cui ci siamo conosciuti e quindi è stato come uno scoprire di nuovo quelle persone con cui, anni prima, avevi condiviso l’entusiasmo dell’adolescenza e le speranze e i sogni per il futuro, che allora si aspettava con impazienza, perché lo si immaginava sempre come un luogo in cui avremmo potuto realizzare tutto ciò che desideravamo.  

Serata di racconti, quindi, e di ricordi, frammenti di tempo condivisi o vissuti ognuno per conto proprio mentre, piano piano, ciascuno di noi scopriva il mondo e la realtà; e in quel momento la cosa più bella è stata vedere i nostri volti, plasmati dal tempo, dalla fatica e dalla soddisfazione quotidiana di vivere e sentire le voci, segnate dalle gioie e dai dolori vissuti, mentre si scopriva come alcuni avessero realizzato i sogni che nutrivano da bambini e altri abbiano comunque trovato una loro strada, anche se non era quella che allora si immaginavano.

Ieri adolescenti entusiasti, oggi adulti (e molto spesso compagni e/o genitori) consapevoli, ma comunque, e questa è stata l’altra bella notizia, rimasti fedeli al modo di essere che mostravamo già allora e se ieri abbiamo condiviso le nostre speranze, oggi sappiamo che potremmo anche condividere le nostre vite. 

Confusioni in rima

Ovvero storia di alcune riflessioni nate ad una discussione attorno ad un tavolo di un ristorante.
Quel giorno ero a pranzo coi miei genitori e, in mezzo ai soliti discorsi, salta fuori una frase: “quelli che confondo rivoluzione con maleducazione”, che stava ad indicare chi, con la scusa di voler cambiare le convenzioni sociali, non si curava minimamente dei suoi comportamenti e delle reazioni che essi suscitavano nelle altre persone, risultando così essere un maleducato e basta.
Premesso che conosco bene questo sia il tipo di meccanismo, sia il tipo di persona che lo esprime, a me è venuto in mente un altro potenziale equivoco, magari più sottile, ma a mio parere decisamente più diffuso e più pericoloso, ovvero quello creato da “coloro che confondono cortesia con ipocrisia”.
Infatti, mentre i primi, alla fine, finiscono per emarginarsi da soli, visto che la società mal accetta la maleducazione, i secondi, proprio a causa dei comportamenti compiti e cortesi che sanno tenere nella maggior parte delle occasioni, si ritengono legittimati a fare qualunque cosa passi loro per la testa, anche se questo vuol dire o mancare di rispetto, o danneggiare altre persone.
Voi che ne pensate?

giovedì 9 settembre 2010

grazie....

e dico solo questo. Sai chi sei e a cosa mi riferisco.

Io so cosa vuol dire essere felice, Tu sai cosa vuol dire amare.

venerdì 9 luglio 2010

Vorrei poter fare di più....

Ma non posso.
So cosa vuol dire la paura per una persona amata; vorrei che fosse in mio potere farla evaporare via da te, ma posso solo abbracciarti, per lasciarti sfogare.
So cos'è la malattia; vorrei poterla estirpare dal tuo organismo, ma posso solo lasciare che tu ti appoggi a me quando ne hai bisogno.
So cos'è la morte; vorrei poterla allontanare da tutte le persone che ami per tutto il tempo possibile, ma posso solo sperare con te che all'ultimo momento la carogna cambi idea.

E adesso, mentre tua madre sta lottando per la vita in un reparto di rianimazione a più di 1000 km di distanza, e mentre ti sento parlare con tuo padre col tono di chi fa vibrare dolore con dolore, mi assale il desiderio feroce di poter, con un unico colpo, riportare le cose a come sono state fino a ieri. Purtroppo so di essere solo un essere umano ed è proprio in momenti come questi, che mi pesa.

Vorrà dire che metterò un cartello con su scritto
"Oggi non si ha paura, non ci si ammala e non si muore. Domani Sì"
E lo lascerò piantato fino alla fine dei giorni. Non importa che funzioni o meno; almeno ti avrà fatto sorridere per quell'attimo che ti serve, per alleggerire il tuo spirito.

Buona notte, amore mio.

lunedì 10 maggio 2010

Una magnifica lettera d'amore

Guardate queste copertine; inquietanti, vero?






















Ebbene dietro queste figure macabre e oscure si cela una delle più belle lettere d'amore mai scritte, e il suo autore, con questa opera, ha saputo ritagliarsi un posto nella storia. Sui dischi in sé dirò solo che: sono album di musica metal; sono parte di un'unica storia che si dipana in tre capitoli nell'ordine "The Scarecrow" - "The Wicked Symphony" e "Angel of Babylon"; l'autore di musiche e testi è Tobias Sammett; in ciascuno di questi album si alternano una folla di ospiti, sia cantanti che strumentisti.

Detto questo, la vera forza di questi dischi non sta in singole canzoni, molte delle quali comunque decisamente notevoli, ma proprio nell'insieme completo dell'opera stessa che, in sé, riassume sia negli ospiti che nei vari pezzi, tutto quello che il mondo hard'n'heavy ha espresso nei suoi ormai 40 anni di storia. L'altra costante di questi dischi è proprio Tobias Sammett che duetta in ogni pezzo con uno o più ospiti differenti e lo fa con un trasporto assoluto, sintomo di un sincero omaggio a quella musica che ama e quegli artisti che hanno saputo far evolvere la scena lungo quattro decadi di vita che viene impreziosito dal fatto che ad ogni singolo ospite viene affidata una canzone in modo tale che l'ospite in questione si trovi quelle atmosfere e quegli stilemi che lui porta avanti nella sua carriera.

Raramente ho visto e sentito un omaggio così schietto e sincero, ed è per questo che terrò questa trilogia tra le perle della mia discografia.

lunedì 26 aprile 2010

Le mie stagioni.....

Indovina indovinello: quante sono le stagioni?

Che domanda inutile, direte voi, è ovvio che sono 4: primavera; estate; autunno; inverno....


E INVECE NO!!!!

Le stagioni (almeno per me) SONO 2 E BASTA!!!

La stagione RESPIRANTE e la stagione TRASPIRANTE. 

E adesso sta a voi capire quale sia la mia stagione preferita :D

venerdì 23 aprile 2010

L'ultima goccia....

Ovvero, come anche solo una delle migliaia di pps che gira per la rete può farti incazzare come un orco.

Oggi ho aperto un file pps, ovvero uno di quei file che vengono inviati a decine di migliaia al giorno a tutti coloro che hanno l'ardire di essere connessi in rete. Caratteristica di questi flussi di informazioni è quella di contenere una serie di elementi che possono essere di varia natura, ovvero: scritte più o meno elaborate e/o colorate; da immagini, che possono essere animate, oppure delle foto; da suoni o musiche, che possono essere associati a particolari immagini, oppure possono essere di sottofondo. Quando noi apriamo questi file essi presentano ciò che contengono, non in un blocco unico, ma in una sequenza preordinata che noi facciamo scorrere mano a mano tramite dei comandi standard. Molto spesso questo tipo di file viene usato per mandare storielle con tanto di morale finale e quella che ho letto oggi, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

La pps iniziava con un messaggio:

Abbi il piacere di leggere fino alla fine... (poi pensa... e scegli l'opzione numero 1)

che già di per sé trovo urticante, perché dice che mi troverò davanti ad una scelta, che però da già per scontato che la scelta giusta e unica da fare sia quella che dice lui. In ogni caso il bello è venuto quando ho iniziato a leggere la storiella in essa contenuta, che parlava di un uomo benestante che entra in ristorante e si trova a confronto con un bambino povero che gli chiede la carità di un po' di cibo. Due sono state le frasi che mi hanno urtato e le riporto così come le ho lette:




E cos’è Internet, signore?

È un posto nel computer dove possiamo vedere e ascoltare molte cose, notizie, musica,  conoscere gente, leggere, scrivere, sognare, lavorare, imparare. Ha tutto, ma in un mondo virtuale.


E cos’è il virtuale, signore? 


Virtuale è un posto che noi immaginiamo, qualcosa che non possiamo toccare, raggiungere. Un luogo in cui creiamo un sacco di cose che ci piacerebbe fare. Creiamo le nostre fantasie, trasformamiamo il mondo quasi in quello che vorremmo che fosse.



e

Lí, in quel momento, ebbi la più grande dimostrazione di virtualismo insensato in cui viviamo ogni giorno, circondati da una vera cruda realtà e spesso facendo finta di non percepirla!


I motivi della mia rabbia sono essenzialmente 3:

1) La persona che ha scritto questa cosa dimostra di non aver capito assolutamente nulla di internet e diffonde un pregiudizio tanto vecchio quanto becero, ovvero che la rete non sia altro che un luogo in cui la gente va per sfuggire alla realtà ed in cui tutto è menzogna o, ben che vada, illusione.

2) Il messaggio che passa da questa storia è che il dolore provato da una persona perde di dignità, mano a mano che aumentano i soldi sul suo conto in banca.

3) La contrapposizione finale che si fa tra REALE (vero giusto e degno) e VIRTUALE (fasullo immorale e futile)

A questo punto dico la mia sui punti sopra descritti.

Internet altro non è che uno SPAZIO NON FISICO in cui le persone si scambiano costantemente TUTTI I TIPI DI DATI E DI INFORMAZIONI possibili. Il fatto che le informazioni presenti possano essere vere o false, non dipende dalla rete in sé, ma dalle PERSONE che le pubblicano. Questo vuol dire che non è la rete ad essere un ricettacolo di menzogne, ma sono le persone che mentono in rete, così come mentirebbero nel mondo fisico. L'unica differenza è che in rete ciò che è stato scritto rimane presente fino a che non viene cancellato, mentre nel mondo fisico, la parola vola via e quindi diventa anche più facile coprire menzogna con menzogna.
Un altro corollario di questo pregiudizio è che le amicizie nate in rete sono futili chimere, che lasciano sempre il tempo che trovano e che sono semplicemente il rifugio di chi non ha il coraggio di affrontare la vita.

Vi faccio una domanda: se dico che ci sono due persone che: parlano raccontandosi sogni, traversie, opinioni e gusti; si incontrano e si divertono assieme; si confidano reciprocamente; voi li definite amici? Se sì, allora come può fare la differenza il LUOGO in cui essi si incontrano? Dov'è la differenza se queste due persone stanno seduti allo stesso tavolo di un bar, oppure se si guardano e si parlano attraverso dei computer posti in due luoghi qualsiasi del pianeta?
Porto ad esempio un mio ricordo. 

Era un fine settimana del 2003, e io ero a Firenze, assieme ad un altra trentina di persone conosciute in rete su una community di cui facevo parte e, mentre eravamo sotto le mura della stazione di Santa Maria Novella, fuori da un camper a farci una spaghettata di mezzanotte, abbiamo messo sulla porta del camper la foto di un iscritto al sito che viveva a Bali da diversi anni e che ci aveva mandato i suoi saluti: in quel momento abbiamo brindato salutandolo assieme. Due anni dopo, ci sono stati gli attentati terroristici a Bali. Quando ho saputo dei kamikaze che si erano fatti esplodere causando 15 morti e diverse decine di feriti, ho sperato che lui non fosse stato coinvolto e quando, quella sera, ho visto il suo racconto di quella giornata e ho capito che l'aveva scampata per il classico "scherzo del destino" (mi sa che da quel giorno hai benedetto la tua mancanza di puntalità, vero Dr.Evil? ;) ) da un lato mi sono presi i sudori freddi e dall'altro ho provato sollievo nel sapere che era vivo e stava bene. 
Credete forse che la preoccupazione ed il sollievo siano più o meno motivati e degni di essere provati solo nel momento in cui le persone verso cui si rivolgono sono state "conosciute di persona"?


Per quanto riguarda il discorso sul dolore, il punto sta nel fatto che la descrizione fatta nella pps della realtà dei due protagonisti, era mirata a dare un'immagine del benestante come di una persona persa nei meandri della malefica rete virtuale, che non vede i problemi reali, ovvero quelli del povero bambino che gli chiede la carità e che infine ne viene commosso e ripudia "l'INSENSATO VIRTUALISMO IN CUI VIVIAMO".

Bene, tutta questa scenetta a me puzza terribilmente di quel pietismo ipocrita e assolutamente privo di alcun valore, secondo cui ognuno di noi dovrebbe non godersi ciò che ha e non lamentarsi della realtà in cui vive, qualunque cosa accada, solo per il fatto che esistono persone più sfortunate di noi. 

Il punto è che io so benissimo di far parte dei fortunati e lo sono per il semplice fatto che se fossi nato in altro periodo storico, o in uno dei paesi tecnologicamente arretrati, né io né mia madre saremmo sopravvissuti al parto. Detto questo non c'è colpa o merito nell'essere nati in un luogo piuttosto che in un altro, così come non ce n'è nell'essere più o meno ricchi; più o meno poveri. Inoltre non importa quanto tu sia povero o ricco, ma in ogni caso nella tua vita ci saranno sofferenze, perché la sofferenza non è altro che la nostra reazione ad una realtà che non vogliamo, o non riusciamo ad accettare. Dolore e gioia sono l'essenza delle nostre vite e nessuno deve permettersi di misurarne la dignità sulla base del nostro grado di ricchezza o di povertà. Anche perché, fin troppo spesso, chi ci dice "ah tu sì che sei fortunato", lo dice stando col culo al caldo e senza sapere un accidente di ciò che stai vivendo e di come lo stai vivendo.

Per la contrapposizione dico che: 

Il VIRTUALE è UNA PARTE DELLA REALTA' e non una sua negazione, e chi li contrappone in questo modo dimostra la sua ignoranza e la paura che ha nell'affrontare le evoluzioni che la vita ci presenta davanti. Inoltre dimostra di voler rifiutare quello che sarà una realtà sempre più presente in futuro, solo perché non vuole avere il tempo di avvicinarsi e di capirla fino in fondo.

Non mi sono mai piaciuti i pregiudizi e ho sempre trovato odiosi i discorsi qualunquisti fatti senza avere una minima cognizione di causa e oggi sono decisamente sbottato.

Buona giornata a tutti.

lunedì 5 aprile 2010

Una triste commedia

Questo post nasce da due storie raccontatemi in due momenti diversi e che stasera sono affiorate affiancandosi nella mia memoria: la prima ha per protagonisti una madre ed un figlio; la seconda un gruppo di amici seduti attorno ad un tavolo.

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Un figlio fa alla madre un regalo per il suo compleanno, la madre passa interi giorni a parlare con le persone che ha vicino, per dire quanto era bello il regalo che il figlio le aveva fatto, salvo poi scrivere su un taccuino che "da quando il mio compagno mi ha parlato del regalo che mi avrebbe dato mio figlio, già sapevo che non mi sarebbe piaciuto". Quando il figlio mi ha raccontato questo episodio, mi ha anche detto che lui si aspettava già quel giudizio da parte di sua madre e, alla mia domanda sul perché, allora, le avesse fatto un regalo del genere, lui mi ha risposto "perché era il miglior regalo che potessi farle".

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Ad una tavolata di amici, nei vari discorsi che si intrecciano, ad un certo punto, uno dei commensali inizia a raccontare di una sera un cui si è fatto "la scopata più bella della sua vita", con estrema dovizia di particolari. Mano a mano che va avanti nel discorso, si capisce che quest uomo è sposato e che non è la moglie la protagonista di quella notte di cui si sta fieramente vantando. Inoltre lui racconta tutto con la naturalezza di chi sa che il racconto non verrà mai a conoscenza della moglie, assente a quella cena.

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Il comune denominatore di queste storie, che mi ha intristito profondamente, è la menzogna. Il vedere come molta gente costruisca attorno a se un castello di carte formato da bugie, a volte pietose, a volte colpevoli, ma sempre di un sapore tanto grigio, quanto squallido e poi ci si aggrappa con tutte le sue forze, tanto da giustificarlo di volta in volta con motivazioni che suonano altrettanto false quanto le bugie che si sono raccontate. Quante volte ho visto menzogne atroci giustificate tramite "educazione"; "l'ho fatto per il tuo bene"; "l'ho fatto per la nostra famiglia" e via discorrendo!

Davvero siamo arrivati al punto che si misura il valore di un regalo solo in base ai soldi che ci vengono spesi sopra? O che in una coppia non si possa mai essere certi che l'altra persona non ti stia tacendo qualcosa o non ti stia mentendo su qualcosa?

Eppure io so che è possibile essere assolutamente sinceri con la propria compagna, e so anche quanta gioia ci sia ad avere un rapporto senza segreti e di totale fiducia reciproca, proprio perché lo sto vivendo e proprio perché ho potuto vedere che la portata degli ostacoli che bisogna superare per arrivarci è molto inferiore alla soddisfazione che si ha quando si è andati oltre, e non posso fare a meno di intristirmi a vedere quanta gente, ancora, galleggia nel grigiore di una vita che si è cucita addosso senza convinzione, che causa innumerevoli rimpianti, rimorsi e frustrazioni e da cui non ha la volontà di togliersi, perché le manca il coraggio di guardarsi per quello che è.

lunedì 15 febbraio 2010

Solo perché siamo piccoli, non vuol dire che siamo stupidi.

Ovvero: di come a volte i bambini azzerano gli adulti in pochi secondi.

Questi racconti che ora vado a scrivere hanno visto protagoniste due bambine: una di due anni e mezzo e una di cinque anni e mezzo, e questi saranno gli unici dati su di loro che scriverò.

Inizio raccontando i due episodi che hanno avuto per protagonista la bambina di due anni e mezzo.

In piscina:

Nella piscina dei piccoli, c'è questa bambina a cui piace molto nuotare sott'acqua, e quindi si immerge spesso. L'istruttrice di nuoto vede la situazione e mette alla bambina i braccioli. La bambina se li toglie e si rimette ad andare sott'acqua. L'istruttrice, a questo punto, prova a metterle il salvagente, ma la bambina capisce che le basta alzare le braccia per sfuggire al salvagente, alza le braccia e ritorna sott'acqua. L'istruttrice le rimette i braccioli e la bimba, imperterrita, se li ritoglie. All'ennesimo tentativo dell'istruttrice di metterle i braccioli, la bambina si gira verso la madre e le dice:

"non voglio i braccioli, perché a me piace andare sott'acqua, e i braccioli mi fanno stare a galla. Spero di essere stata sufficientemente esaustiva!"

interviene il padre dicendo "in che senso, scusa?"

e la bambina, guardandolo malissimo risponde: "CHIARA!!!!"

Al supermercato:

Siamo alle casse di un supermercato con la madre che è andata a fare spese e si è portata la bimba al seguito. A un certo punto arriva una delle classiche vecchiette che, non appena vedono un qualunque oggetto non ben definito sotto il metro di altezza, commentano sempre "MA CHE BELLA BIMBAAAAAAAAAAA" (o bimbo che dir si voglia) con una voce che sta a metà tra l'idiota e quella di un baritono castrato e si sentono in diritto/dovere di toccare, carezzare, sfrucugliare l'oggetto in questione. Vista la bimba, la vecchietta le si avvicina e prova ad accarezzarle i capelli.... la bambina indietreggia. La vecchiettina insiste nel tentativo dicendo, sempre nello stesso orrido tono, "MA NON DEVI ESSERE TIMIDA".... la bambina indietreggia di nuovo. La vecchiettina riparte alla carica dicendo "MA UNA BAMBINA COSI' CARINAAAA. DAI, NON ESSERE TIMIDA!!!" A questo punto la bambina prende una scarpa e la tira verso la vecchietta centrandola in piena fronte e sbotta: "IO NON SONO TIMIDA!!! TU NON MI DEVI TOCCARE!!!!!!"


Finisco raccontando l'episodio che ha avuto protagonista la bimba di cinque anni e mezzi.

Siamo nel mezzo di una festa, tenuta da un mio amico a casa sua, con una quarantina di persone, una delle quali si è portato la figlia di cinque anni e mezzo al seguito.
E' pomeriggio e siamo nel giardino di questa casa, dove c'è anche una piscina di 2 metri per 5, e la bimba nuota tranquilla con i braccioli. All'angolo della piscina un ragazzo (considerato tra "i belli" della compagnia) sta disegnando degli schizzi di personaggi dei fumetti disney. Ad un certo punto la bambina, avvicinandosi al ragazzo a nuoto, se lo guarda e gli chiede:

"mi fai vedere il disegno?"
lui risponde: "se ti faccio vedere il disegno, tu mi dai un bacino?"
a questo punto altri amici del ragazzo intervengono da bordo piscina: "OHHHH, GUARDALO! si marpiona le bambine di 5 anni e mezzo!!!"
e senti lui dire, con fare brillante: "sapete com'è.... mi porto avanti...."

a questo punto la bimba, che è ancora in acqua e sta nuotando, solleva un braccio, punta il dito contro il ragazzo, mentre continua a muovere l'altro braccio per restare a galla e gli dice:

"TU NON HAI 5 ANNI E MEZZO, MARPIONE!!!!"

al che il sottoscritto e tutti i presenti sono scoppiati in una delle più fragorose e spontanee risate che abbia mai sentito.