Ovvero
come ti lego il caso Schwazer, la sindrome premestruale e un ricordo dei miei
17 anni.
È il 6
agosto 2012, siamo nel pieno dello svolgimento delle Olimpiadi di Londra quando
arriva la notizia che Alex Schwazer (atleta italiano vincitore della medaglia
d’oro della marcia alle olimpiadi di Pechino) è stato trovato positivo ai
controlli anti-doping. Da quel momento si scatena un fiume di notizie e di
commenti sullo sport che deve essere “pulito”, sull’ “orrore del doping”, sullo
“scandalo sportivo” di un atleta che si è “macchiato” di questa “colpa”. Negli
stessi giorni, nel vagare per vari blog che seguo in rete, vado a leggere un
post nel blog “A Casa di Simo” e, nei link consigliati in fondo a quel post, uno in
particolare che dice di voler “spiegare agli uomini la sindrome premestruale”, intitolato "Lettera aperta all'uomo medio".
Mentre lo leggo, e ancora riecheggiano in me le notizie e i commenti letti su
Schwazer, i toni e i contenuti sia di quel post che di quelle notizie si
associano in una maniera incredibile ed ecco che, nel commentare queste cose, mi
viene fuori una frase che arriva dalla mia adolescenza: “Siamo proprio una
società drogastica”.
Siamo
nel 1991, un pomeriggio in cui, nella scuola superiore in cui andavo all’epoca,
si stava tenendo una conferenza sul problema della diffusione della droga e
delle tossicodipendenze tra i giovani e, nell’introdurre il discorso, il
relatore usò un punto di vista che ancora oggi è scolpito a fuoco nella mia memoria:
“Potrei farvi il discorso, sul fatto che il drogarsi è sbagliato, sul non
cedere alla tentazione, o sulla debolezza di chi cede alle lusinghe della
droga, ma il vero problema della diffusione delle droghe e delle
tossicodipendenze è che tutti noi viviamo in una società drogastica”. Alla
reazione stupita da parte della platea, professori compresi, il relatore
cominciò a sviluppare il discorso puntando sul fatto che la società per prima
si stava muovendo su una strada che favoriva e incentivava l’uso di droghe,
perché seguiva il concetto per cui ogni individuo dovesse sempre e comunque
“essere efficiente”, “essere produttivo”, “essere attivo”, “essere in forma”,
“essere giovane” con una pericolosa similitudine tra i verbi “essere” e
“sembrare”. Nel portare esempi per spiegare ciò che intendeva, lui ha ripreso
una serie di pubblicità che reclamizzavano i prodotti più disparati come:
“Sei
stanco? Bevi l’integratore X che ti da l’energia per affrontare la giornata” (Non
importa che una volta che l’integratore abbia terminato il suo effetto, tu
sarai ancora più stanco di prima, perché così hai consumato tue ulteriori
riserve di energia, quando ti sarebbe un buon sonno per rimetterti in sesto e
per essere lucido senza bisogno di ricorrere a sostanze estranee).
“Hai
la febbre e non vuoi rinunciare ai tuoi impegni della settimana? Prendi la
pastiglia Y che fa svanire i sintomi e puoi essere di nuovo scattante” (Non
importa che il tuo corpo sia ancora ammalato e quindi, finito l’effetto della
pastiglia tu stia peggio di prima, quando ti sarebbe bastato curarti e guarire
per poi poter riprendere la tua vita normalmente).
“Hai
fatto tardi alla sera e adesso hai le occhiaie? Usa la crema Z, e il tuo viso
sarà di nuovo fresco e riposato” (Così potrai crollare addormentato durante la
riunione di lavoro senza però far vedere che avevi le occhiaie).
“La
notte hai problemi a prender sonno? Prendi la pastiglia H, per dormire bene”
(Non importa che, magari, se non prendevi integratori e pastiglie varie per
star sveglio, poi non avevi problemi per addormentarti, perché eri già
stravolto di tuo).
“Le
rughe e i segni del tempo attaccano il tuo viso? Usa il prodotto XY, o fatti un
bell’intervento di chirurgia plastica, così sarai per sempre giovane”. (Non
importa che, dai vent’anni in avanti, nel tuo corpo nascano sempre meno cellule
in un giorno di quante non ne muoiano e quindi continui ad invecchiare
nonostante tutti i tentativi di non farlo vedere agli altri).
“Devi
affrontare un esame all’università e il tempo per prepararti non ti basta?
Prendi il preparato K che ti consentirà di concentrarti più a lungo”. (E se ti
limitassi a dare l’esame dell’università alla sessione successiva invece di
sottoporre fisico e mente a livelli di stress superiori al comune?).
E così
via elencando.
Il
relatore poneva proprio l’accento su come in queste pubblicità stati naturali
di un organismo sano, come la stanchezza e l’invecchiamento, fossero indicati
come “problemi da combattere e da risolvere”, e per quanto riguarda lo stato di
malattia, l’accento era posto non sulla guarigione dalla malattia, ma sulla
soppressione dei sintomi. Infine, come ciliegina sulla torta, ecco che le
“soluzioni ai problemi” altro non erano che o prodotti farmaceutici che
alteravano la percezione che noi avevamo del nostro organismo (non facendoci
provare le sensazioni di stanchezza, ansia, fame o qualsiasi altra cosa) o
prodotti cosmetici che cercavano di nascondere ai nostri occhi, prima ancora
che a quelli degli altri, i segni che il tempo lasciava sul nostro corpo. In
buona sostanza in questi messaggi si sosteneva che l’insoddisfazione verso la
tua vita e verso il tuo corpo poteva essere risolta dalle sostanze
chimico-farmaceutiche che ti stavano proponendo (quanto è simile questo
ragionamento a quello di cerca rifugio nelle droghe per sfuggire alla realtà?).
Ma quello che ha creato l’associazione di idee tra le tre situazioni, è stata la sensazione che avessero una base comune: l’impostazione data a livello sociale che tutti debbano sempre e comunque andare oltre i propri limiti, a qualunque costo e in qualunque modo. Perché l’importante è vincere, e non dare il meglio di sé; perché l’importante è curarsi della propria immagine e dell’opinione che gli altri possono averne, piuttosto che della propria persona e del proprio equilibrio; perché l’importante è sempre crearsi nuove aspettative (senza tener conto dei propri limiti), piuttosto che godere dei risultati raggiunti e vedere su come e se si può migliorare.
Entrando nel dettaglio per quanto riguarda Schwazer, vorrei far notare alcune cose:
1)
Ha
partecipato a gare di Marcia da 20 e da 50 km tra il 2005 e il 2011
2)
Ha
vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi di pechino nel 2008
3)
Ha
vinto una medaglia d’argento in coppa del mondo, migliorando il tempo delle
olimpiadi
4)
Ha
vinto una medaglia d’argento ai campionati europei
5)
Ha
vinto due medaglie di bronzo ai campionati mondiali.
Nonostante
questo palmares, nei mesi precedenti alle olimpiadi di Londra, ecco spuntare il
concetto che, se Schwazer non avesse portato almeno un medaglia (con
predilezione per l’oro, ovviamente) si sarebbe parlato di “fallimento”
dell’atleta, che era visto come una medaglia sicura per l’Italia ai giochi
olimpici e alcuni paventavano già che quella sarebbe stata la gara per capire
se lui come atleta potesse dare ancora qualcosa, oppure se fosse già nella fase
discendente della carriera. Da una parte, quindi, si creano pressioni enormi e
dall’altra, se la persona cede, ecco che la butta letteralmente a mare senza
alcuna pietà o riconoscimento di ciò che comunque ha fatto fin lì che, comunque, è stato qualcosa che pochissime persone al mondo sono state in grado di fare.
Per
quanto riguarda la sindrome premestruale, invece, mentre leggevo il post
“Lettera all’uomo medio” sul blog “A Casa di Simo”, percepivo sia l’ironia di
cui era intessuto, sia l’aggressività che questo descriveva ma, se capivo e
condividevo la rabbia per il dolore fisico e gli umori cangianti dovuti alla
tempesta ormonale, per tutte le altre situazioni descritte il commento che mi
usciva spontaneo era: “Ma perché tutta questa rabbia?”
Sembra che vi vediate sempre più brutte di quello che siete e vi sentiate quasi obbligate a ricorrere al trucco per nascondere quelli che considerate difetti e che, quindi, non bisogna assolutamente mostrare; sembra che il farvi notare un cambiamento del vostro aspetto fisico equivalga a dirvi che siete dei cadaveri putrefatti, buone solo più per essere gettate nella fossa comune da gente che indossa la maschera antigas per reggere alla repulsione che voi provocate; sembra che il fatto di superare quella misura sacra nota ai più come “pesoformaottimale” di una quantità con ordine di grandezza superiore all’ettogrammo sia una colpa passibile di pena di morte da eseguirsi tramite crocefissione e squartamento in stile sacrificio religioso dei tempi antichi.
Date veramente l’impressione di vivere il rapporto col vostro corpo quasi come una tragedia greca in cui voi siete le eroine destinate ad essere sconfitte da quel nemico gretto e meschino che è il tempo. Ma rispondere a tutti quei messaggi e a quegli stimoli, più o meno espliciti, che ci dicono che bisogna essere sempre “belliattivigiovaniefficientiinformasmagliantesensualmenteesessualmenteesplosiviinognimomentodellagiornataefinoalnostroultimogiornodivita” con un bellissimo ECCHISSSSENEFREGA in formato intergalattico, no? Imparare a condividere col sorriso sulle labbra anche i difetti e le debolezze pare una bestemmia? Sapersi guardare in faccia, quando si sente il desiderio dell’altra persona, e dirsi “anch’io ho voglia di te, ma non ce la faccio”… e poi riderci assieme è così riprovevole? Usare il trucco per giocare e travestirsi, o per esaltare una qualità, piuttosto che per coprire un difetto, no?
Il
fatto è che fino a vent’anni il corpo cresce e si sviluppa, dopo invecchia.
Fintanto che te ne accorgi, vuol dire che sei viva; quando non te ne accorgi
più, vuol dire che sei morta (e il processo di invecchiamento, allora, si
chiama decomposizione).
Non
siamo sempre in forma? Non siamo sempre scattanti? Non siamo sempre con un
fisico scultoreo? Non siamo sempre giovani? E dov’è il problema? È la nostra
natura! Nasciamo, cresciamo, invecchiamo e moriamo. Per cui vi chiedo: cosa
trovate che sia meglio? vivere felicemente i giorni della propria vita, godendo
di quanto di bello ci donano, oppure vivere come se fossimo sempre in guerra
per aggrapparci disperatamente a quello che crediamo che il tempo ci voglia
togliere?